RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI da inail

“PRIME CURE” INAIL - Vademecum per l’infermiere

SORVEGLIANZA SANITARIA E GIUDIZIO DI IDONEITÀ
Come è noto con il Decreto 626/94 per la prima volta si parla, esplicitamente del contenuto della sorveglianza sanitaria ma, soprattutto del “giudizio di idoneità alla mansione specifica”; l’articolo di riferimento così recita:

Art. 16. - Contenuto della sorveglianza sanitaria.
1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente.
2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:
a) accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;
b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
3. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirate al rischio, ritenute necessarie dal medico competente.

D’altra parte anche se il D.P.R. 303/56 non parlava in maniera esplicita del giudizio di idoneità alla specifica mansione come atto conclusivo delle visite del “medico di azienda”, la giurisprudenza, di fatto, ha stabilito fin da allora i limiti ed il contenuto di tale giudizio, anche nella sua valenza medico legale, anticipando, in tal modo, il decreto 626/94.
Questo ultimo decreto, da un lato, prevede l’obbligo, da parte del datore di lavoro e del medico competente, di informare i lavoratori sui rischi professionali ai quali sono esposti, indipendentemente dal fatto se siano soggetti o meno alla sorveglianza sanitaria, dall’altro non stabilisce i criteri sulla base dei quali può essere definita l’idoneità, o meno, alla specifica mansione.
Anche per quanto riguarda il rischio biologico il giudizio di idoneità è affidato alla professionalità ed alla responsabilità del medico competente.
Per dare un giudizio di idoneità è comunque doveroso sottoporre i soggetti ad una accurata visita ed a alcuni esami cosiddetti di routine che sono diversi per ogni fattispecie da esaminare.

Gli infermieri, come operatori esposti a rischio biologico, sono ovviamente tutelati dal decreto 626/94, decreto che tra l’altro indica come strumento della sorveglianza sanitaria, laddove ne sia stata dimostrata l’efficacia, anche la vaccinazione del lavoratore.

Prima però di parlare delle “vaccinazioni” segnaliamo, prendendo spunto dalla prassi usata in diverse ASL e codificate in un documento ufficiale della Regione Emilia-Romagna, le indagini di routine che vengono effettuate in caso di sorveglianza sanitaria in infermieri professionali.

Esse sono:
• Visita medica
• Profilo ematochimico
• Mosaico epatite virale
• Titolo anti-BS
• Test Mantoux
• Esami allergologici.

Un’attenzione particolare va dedicata al capitolo “vaccinazioni”: questa metodica deve/può essere applicata; l’art. 86 comma 2 stabilisce infatti che:
… il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente.

Il problema sorge, quindi, non tanto nel momento in cui la vaccinazione viene effettuata ed accettata ma allorché il lavoratore rifiuti di sottoporsi a vaccinazione “ritenuta” efficace, cioè in quei casi in cui rivesta il ruolo di misura speciale di protezione; in questa situazione spetta solo e soltanto al medico competente la necessità di valutare l’idoneità del lavoratore a quella mansione specifica.

Abbiamo volutamente scritto “ritenuta” tra virgolette, in quanto non crediamo che ci si debba basare, sic et simpliciter, sulle considerazioni di valutazioni di tipo epidemiologico al fine del giudizio, in quanto esse non dovrebbero avere un significato decisivo per giudicare se una determinata vaccinazione sia presupposto inderogabile alla formulazione del giudizio di idoneità alla mansione; l’epidemiologia, infatti, fornisce indicazioni sulla prevalenza o l’incidenza di una determinata malattia in una popolazione non nel caso “singolo”, e rientra nella discrezionalità dell’atto medico (nel caso
“atto” di medico competente) valutare concretamente il soggetto visitato ed optare eventualmente per un giudizio di idoneità con limitazioni, assumendosi le responsabilità connesse con tale decisione.

Non è corretta la posizione di dichiarare non idonei tutti coloro che non si sottopongono a vaccinazione, come non è possibile obbligare gli stessi alla vaccinazione in quanto la “vaccinazione” è una procedura invasiva e necessita del consenso informato di chi la riceve che può decidere di non effettuarla, anche se si tratta di casi sporadici.

Non va però dimenticato un altro problema riguardante la vaccinazione che è quello che questa procedura serve non solo agli operatori sanitari ma anche ai “pazienti” che potrebbero essere esposti ad agenti biologici se a contatto con
“operatori” non vaccinati, eventualmente portatori di “agenti patogeni”; la sorveglianza sanitaria per il rischio biologico non può determinare, indirettamente una cesura tra la tutela della salute dell’operatore sanitario e quella del paziente da lui assistito; questa valutazione è obbligatoria, da parte del medico competente, al fine del giudizio di idoneità alla mansione specifica in caso di mancata vaccinazione.

L’operatore sanitario, generalmente, viene a contatto nella sua attività lavorativa quotidiana con alcuni agenti patogeni a trasmissione ematica come HBV, HCV, HIV e da un patogeno a trasmissione aerea quale il Mycobacterium Tubercolosis; per quelli a trasmissione ematica l’unico, che ha a disposizione un’efficace profilassi vaccinale, è il virus dell’Epatite B, ma anche le altre situazioni meritano di essere opportunamente valutate.
Riteniamo, a questo punto, di doverci riferire obbligatoriamente a quanto riportato nelle linee guida realizzate dalla Commissione Nazionale per il Ministero della Sanità nell’Ottobre del 1994 per “prevenire la trasmissione del virus dell’immunodeficienza umana e del virus dell’epatite B degli operatori infetti ai pazienti durante le procedure invasive che determinano un rischio di esposizione”; in tali linee guida, con molta chiarezza, vengono definite quelle che devono
essere considerate procedure invasive che determinano rischio di esposizione per il paziente.

* Definizione di procedura invasiva e di procedura invasiva che determina un rischio di esposizione per il paziente
1. Vengono definite procedure invasive:
a. la penetrazione chirurgica in tessuti, cavità o organi, o la sutura di ferite traumatiche maggiori effettuate in sala operatoria o sala parto, pronto soccorso o ambulatorio sia medico che chirurgico;
b. cateterizzazione cardiaca e procedure angiografiche;
c. parto naturale o cesareo o altre operazioni ostetriche durante le quali possano verificarsi sanguinamenti ;
d. la manipolazione, la sutura o la rimozione di ogni tessuto orale o periorale, inclusi i denti, manovre durante le quali si verifica il sanguinamento o esiste il rischio che il sanguinamento avvenga.
2. Vengono definite procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente quelle in cui vi è una reale possibilità che si verifichi accidentalmente una ferita dell’operatore sanitario e che, in tal caso, il sangue dell’operatore venga a contatto con le cavità corporee del paziente, con i tessuti sottocutanei e/o con le mucose. Le procedure che determinano un rischio di esposizione sono pertanto quelle in cui:
a. si effettua il controllo digitale della punta di un ago nelle cavità corporee;
b. c’è una presenza simultanea di dita ed aghi o altri taglienti in un campo anatomico scarsamente visibile o molto ristretto.

Viene precisato nelle raccomandazioni generali delle stesse linee guida che
…tutti gli operatori sanitari, anche in formazione, che eseguono procedure invasive debbono essere sottoposti a vaccinazione contro l’epatite B quanto prima possibile e comunque all’assunzione”. Nelle raccomandazioni specifiche sono indicate due condizioni dello stato sierologico dell’operatore sanitario che esegue procedure invasive:
• Operatore HbsAg positivo - HbeAg negativo - HBV DNA positivo - in via cautelativa è suggerita una limitazione delle procedure invasive che determinano un rischio di esposizione per il paziente.
• Operatore HbsAg positivo - HbeAg positivo: limitazione di tutte le procedure invasive
”.

Essendo queste le linee indicate dal Ministero della Sanità, ad esse bisogna fare doverosamente riferimento, e pertanto si ritiene che, per quegli operatori sanitari che non vogliono vaccinarsi contro l’epatite B, debba essere espresso un giudizio di non idoneità alla mansione specifica se addetti alle procedure invasive che determinano rischio per il paziente; è sufficiente, invece, un giudizio di idoneità con prescrizione per gli operatori che eseguono procedure invasive senza rischio di esposizione per il paziente e che sono renitenti alla vaccinazione.

Ulteriori indicazioni riguardano l’operatore sanitario HIV positivo al quale viene vietata l’esecuzione di procedure invasive; per quanto riguarda le procedure non invasive è opportuna la valutazione concreta della singola fattispecie da parte del responsabile della struttura.

Sulle diverse e particolari situazioni si è espressa l’A.C.I.P. “Association des Cadres de l’’Industrie Pharmaceutique) che per l’operatore sanitario HIV positivo raccomanda “… alcune vaccinazioni che rivestono un ruolo determinante nella validazione dell’idoneità del lavoratore stesso…” e raccoglie “…alcune condizioni di immunocompromissione o particolare suscettibilità alle infezioni con le relative vaccinazioni raccomandate …
Afferma, infatti, tale associazione che “… una severa immunodepressione può essere il risultato di immunodeficienza congenita, infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV), leucemia, linfoma, terapia con agenti alchilanti, antimetaboliti, o abbondante uso di corticosteroidi…” e per alcune di queste condizioni “…tutte le persone affette saranno severamente immunocompromesse; per altre, come quelle con infezione da HIV, ci sarà uno spettro di gravità appartenente a una particolare malattia o stadio di trattamento che determinerà il grado di immunosoppressione…

Si ritiene quindi che prima di un giudizio di idoneità o non idoneità o idoneità parziale appare utile fare riferimento alla letteratura di merito, letteratura sempre in via di evoluzione, comunque calata nella realtà operativa ambientale e procedurale.
Analogamente anche sulla “validità dell’obbligatorietà” della vaccinazione antitubercolare per gli operatori sanitari non c’è, a livello internazionale, univocità di vedute anche se la problematica risulta più chiara rispetto agli agenti infettivi sopra esaminati.
Le posizioni divergenti sono, forse, anche legate a studi condotti su popolazioni diverse da parte dei vari esperti dell’argomento; ciononostante in Italia era vigente sino all’inizio dello scorso anno l’obbligo di vaccinare tutti i dipendenti ospedalieri e non solo i praticanti attività sanitaria.
Solo con il D.P.R. 7 novembre 2001 n. 465 “Regolamento che stabilisce le condizioni nelle quali è obbligatoria la vaccinazione tubercolare, a norma dell’articolo 93, comma 2, della Legge 23 dicembre 2000 n. 388”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9 gennaio 2002, sono stati meglio definiti i soggetti da sottoporre a vaccinazione antitubercolare obbligatoria abrogando nel contempo l’obbligo vaccinale per le categorie a rischio definite dalla legge 14 dicembre 1970, n. 1088; prima infatti si faceva riferimento in senso lato ai “..dipendenti di ospedali, cliniche ed ospedali psichiatrici…” mentre ora, più correttamente, si fa riferimento a “..personale sanitario…” o “..chiunque, a qualunque titolo, con test tubercolinico negativo, operi in ambiente sanitario”, togliendo la limitazione derivante dal riferimento ad “ ospedali, cliniche ed ospedali psichiatrici…”.

Riguardo alla validità di tale atto preventivo, unico dato certo, secondo recentissimi studi, è che il vaccino BCG ha efficacia pari almeno al 50% sia per la tubercolosi “standard” sia per la tubercolosi resistente ai farmaci.
Come è noto quest’ultima è di difficile trattamento e i tassi di mortalità possono raggiungere il 50%; è per questo che molti operatori sanitari, che svolgono attività in centri dove il problema della tubercolosi resistente ai farmaci antitubercolari è particolarmente diffuso hanno richiesto vaccinazione.

La diffusione della pratica della vaccinazione fa tuttavia perdere l’informazione circa eventuali pregresse infezioni tubercolari, dal momento che anche in questo caso si avrebbe una risposta positiva al test cutaneo.
È tornata problematicamente alla ribalta l’infezione tubercolare per i soggetti HIV positivi in quanto tale affezione è particolarmente resistente ed è fonte di rischio per tutti gli operatori sanitari che si dedicano a tali soggetti.
Il medico competente, con l’atto medico legale del giudizio di idoneità, si assume quindi una responsabilità sulla salute del singolo lavoratore e, quindi, non può prescindere dal valutare un presidio, seppur di media efficacia, laddove il rischio dell’operatore sia alto (Tubercolosi resistente).
Al contrario, ma non meno importante, la decisione su tubercolosi “standard”, dove il rischio di malattia attiva nel corso della vita, quando l’infezione si sviluppa, è pari al 10%; sono sufficienti il rispetto di procedure corrette, l’uso adeguato di dispositivi di protezione individuale e un eventuale tempestivo trattamento preventivo.

In definitiva giova ricordare che, a prescindere da protocolli o percorsi prestabiliti, al fine dell’emissione del giudizio finale, la decisione rimarrà sempre di stretta pertinenza del medico competente che dovrà agire con scienza e coscienza, dettate dal proprio bagaglio culturale ed umano.
Presentiamo di seguito una tabella riassuntiva delle raccomandazioni dell’ACIP in merito all’immunizzazione degli operatori sanitari con speciali condizioni.

Riassunto delle raccomandazioni dell’ACIP sull’immunizzazione degli operatori sanitari con speciali condizioni (da “Hospital Infections” Bennet J.V., Brachman P.S. 1998)

R, raccomandata; C, controindicata; UI, usare se indicato; Vi, Vi antigene.

 
 

RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI da inail

LA PROFESSIONE SANITARIA DI INFERMIERE

L’ATTIVITÀ DELL’INFERMIERE: AUTONOMIA E RESPONSABILITÀ

LA PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO

GLI AMBIENTI DI LAVORO: GLI AMBULATORI “PRIME CURE” DELL’INAIL

RISCHIO BIOLOGICO: CONOSCENZA, VALUTAZIONE E PREVENZIONE.

LA NORMATIVA PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO

SORVEGLIANZA SANITARIA E GIUDIZIO DI IDONEITÀ

Decreto 14 settembre 1994, n. 739 - Gazzetta Ufficiale 9 gennaio 1995, n. 6 Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere

Legge 26 febbraio 1999, n. 42. Gazzetta Ufficiale 2 marzo 1999, n. 50 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”

CODICE DEONTOLOGICO Testo approvato dal Comitato centrale Febbraio 1999

Legge 11 marzo 1988, n. 67 (G.U. n. 61 del 14 marzo 1988). Oggetto: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 1988).

Convenzione tra regione ed inail

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 novembre 2001, n. 465 Regolamento che stabilisce le condizioni nelle quali è obbligatoria la vaccinazione antitubercolare, a norma dell’articolo 93, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. (Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9/1/2002)

 

 

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