RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI da inail

“PRIME CURE” INAIL - Vademecum per l’infermiere

RISCHIO BIOLOGICO: CONOSCENZA, VALUTAZIONE E PREVENZIONE.
Il rischio biologico costituisce di per sé un tipo di rischio intrinseco all’attività sanitaria, al quale l’operatore sanitario, sia esso medico, infermiere, o addetto al laboratorio di analisi, può trovarsi esposto.
Tale rischio è costituito da agenti biologici che possono risultare potenziali portatori delle più varie patologie infettive.
L’operatore sanitario è infatti costantemente a contatto diretto con materiali biologici (ad esempio sangue, saliva, altri fluidi, aerosol respiratori) nonché da materiali o strumenti che siano stati contaminati da sangue o da altre sostanze risultanti potenzialmente infette.

Con il termine di rischio biologico quindi si intende la possibilità che, in seguito ad esposizione o contatto con materiali vari infetti, costituiti come già detto, per lo più da sangue o da altri fluidi, un soggetto possa infettarsi e poi ammalarsi.

Quando un microrganismo è penetrato all’interno del corpo umano, la sua presenza non sempre determina il manifestarsi di un’infezione. Nella maggior parte dei casi l’insorgenza di un’infezione è dovuta ad una serie di complesse interazioni che avvengono a carico delle molteplici componenti, in relazione all’agente infettivo, alla suscettibilità dell’ospite, e per quanto riguarda le infezioni esogene alle modalità di trasmissione.

Le diverse componenti inerenti l’agente infettivo sono:
• la patogenicità;
• la virulenza;
• la invasività;
• la dose;
• la fonte;
• il serbatoio.

Quelle che riguardano l’ospite invece sono rappresentate dai:
• meccanismi di difesa (aspecifici);
• dall’immunità umorale;
• dall’immunità acquisita.

Le infezioni vengono distinte in infezioni esogene, in cui i microrganismi vengono trasmessi dall’esterno ed infezioni endogene, in cui i microrganismi si trovano nella flora dell’ospite.

Il rischio dovuto ad agenti biologici deriva essenzialmente da due fattispecie: la prima è rappresentata dal rischio di contatto; la seconda dal rischio di contrarre la malattia.

Il rischio di contatto dipende:
a) dalla prevalenza dell’infezione nella popolazione (cioè dai soggetti infettanti nella popolazione);
b) dal tipo di attività espletata;
c) dalle misure di prevenzione impiegate.

Il rischio di contrarre la malattia dipende:
a) dalla carica infettante;
b) dalla resistenza del soggetto.

Il rischio biologico rappresenta per tutti gli operatori sanitari (dai medici, agli infermieri, agli addetti ai laboratori di analisi, ecc.) uno dei rischi più frequenti e caratteristici.

Quindi anche gli infermieri che operano all’interno degli ambulatori dell’INAIL sono sottoposti al rischio biologico, rappresentato usualmente da:
• Virus B dell’epatite
• Virus dell’epatite delta
• Virus C dell’epatite
• Virus dell’immunodeficienza acquisita
• Altre malattie infettive-diffusive virali e batteriche.

Nella presente trattazione ci occuperemo solo dei primi quattro, in quanto rischi più ricorrenti in riferimento all’attività espletata in questi ambulatori.

In generale, invece le fattispecie che ricorrono più frequentemente in ambito sanitario riguardo i reparti di dialisi, i momenti legati a prelievi ematici a letto del paziente, la pratica iniettiva endovenosa, la collaborazione con il personale medico nell’esecuzione di particolari esami strumentali (come gli esami endoscopici od altre tecniche di cateterismo), alla sala operatoria.

Al rischio biologico viene dedicato il Titolo VIII (dall’art. 73 all’art.88) del D.Lgs. 626/94 che recepisce la Direttiva della Comunità Europea 679/90.

La definizione di agente biologico è contenuta nell’art. 74 del citato decreto legislativo: per agente biologico si intende qualsiasi microrganismo, anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni.

Per microrganismo si intende qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico; come coltura cellulare si intende il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

Per quanto riguarda la classificazione degli agenti biologici, la loro pericolosità è caratterizzata da:
• infettività: capacità di un microrganismo di penetrare e moltiplicarsi nell’ospite;
• patogenicità: capacità di produrre malattia a seguito di infezione;
• trasmissibilità: capacità di un microrganismo di venire trasmesso da un soggetto infetto ad uno suscettibile;
• neutralizzabilità: disponibilità di efficaci misure profilattiche per prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura.

A seconda del rischio di infezione per l’uomo, gli agenti biologici vengono suddivisi in quattro gruppi:
Gruppo 1: agenti con poca probabilità di causare malattie in soggetti umani
Gruppo 2: agenti che possono causare malattie nell’uomo e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghino nelle comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad es. per S. Aureus, C. Tetani, B. Pertussis, N. Meningitidis, N. Gonorrhoeae)
Gruppo 3: agenti che possono causare malattie gravi nell’uomo e costituire un serio rischio per i lavoratori; possono propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad es. per HBV, HCV, HIV, S. Typhi)
Gruppo 4: agenti che possono provocare malattie gravi nell’uomo, costituire un serio rischio per i lavoratori, presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità, non essendo disponibili di norma efficaci misure profilattiche o terapeutiche (come ad es. per Virus Ebola, Variola, Crimea-Congo).

Per la trasmissione delle infezioni occorrono tre elementi: la fonte di microrganismi infettanti, l’ospite suscettibile ed il mezzo di trasmissione dei microrganismi.

La modalità di trasmissione può essere per:
• contatto diretto o indiretto;
• attraverso goccioline di grandi dimensioni (cosidette “droplet”);
• per via aerea attraverso la disseminazione di nuclei di goccioline (cosidetti “droplet nuclei”), residui di piccole particelle di goccioline evaporate che contengono microrganismi e rimangono sospese nell’aria per lungo tempo (con diametro uguale od inferiore ai 5 micron), ma anche di particelle di polveri che contengono l’agente infettivo;
• per mezzo di veicoli comuni, con trasmissione attraverso oggetti o materiali contaminati, ad esempio acqua, alimenti, strumenti, macchinari, farmaci;
• per mezzo di vettori, ad esempio mosche, zanzare, topi, ecc..

Da studi effettuati risulta evidente che in ambito sanitario tra le categorie professionali, gli infermieri risultano quelli più esposti, rappresentando una percentuale di oltre il 60%, i chirurghi sono il 9%, i medici l’8%, gli ausiliari il 4%, i laboratoristi il 4% ed il restante personale il 7%.
 

Attività professionale degli infermieri nell’INAIL
L’attività che viene svolta dagli infermieri all’interno dell’INAIL è diversa e particolare rispetto a quella svolta in ambiente ospedaliero o in un reparto clinico in generale.

Nell’ambito delle figure professionali operanti nell’Ente, la figura dell’infermiere si può inserire fra quelle che fanno parte dell’attività sanitaria dell’Istituto, attività che si esplica nei centri medico legali delle Sedi e nei centri polidiagnostici regionali, dove si svolgono controlli sanitari ambulatoriali, spesso accompagnati anche da accertamenti di laboratorio o strumentali.

Nell’ambulatorio INAIL vengono eseguite attività sanitarie a fini medico legali quali il trattamento di cura degli infortunati (cosiddette prime cure), il controllo dell’inabilità temporanea, le visite con relativi accertamenti sanitari (anche esami di laboratorio o emogasanalisi, questi eseguiti presso i centri polidiagnostici regionali).

L’infermiere, inoltre, collabora con il medico in altri compiti, nei quali tuttavia non sussiste un evidente rischio biologico.

Gli incarichi dell’infermiere presso l’ambulatorio dell’INAIL sono molteplici, la sua presenza e funzione si inquadra in tutte le varie fasi delle prestazioni sanitarie erogate dall’Istituto: dall’invito a visita dell’assicurato, alla medicazione, alla pratica iniettiva o di prelievo per l’infortunato, alla manipolazione ed alla successiva fase di preparazione, alla sterilizzazione degli strumenti usati.

Per quest’ultima attività l’infermiere si occupa della sterilizzazione dei vari materiali impiegati: ferri e taglienti (aghi, rasoi, bisturi e lame da bisturi, pinze, forbici, scalpelli, vetreria, ecc.) per mezzo dell’apparecchio in dotazione presso l’ambulatorio - generalmente un autoclave-nonché della precedente preparazione degli stessi materiali per mezzo dell’imbustamento e sigillatura in apposite buste plastificate trasparenti che vengono immesse all’interno della macchina sterilizzatrice.
 

Rischio specifico per gli infermieri nell’ambulatorio INAIL
All’interno degli ambulatori INAIL (ambulatori prime cure), l’attività sanitaria nella quale si può individuare un possibile rischio biologico è quella che si svolge nell’ambulatorio chirurgico ed, in minor misura, di quello ortopedico.

Per il primo le manovre a rischio sono quelle che usualmente si svolgono in un qualsiasi ambulatorio chirurgico, cioè la medicazione delle ferite, i piccoli interventi di chirurgia (ambulatoriale), la pratica iniettiva (per via endovenosa, ma anche per via intramuscolare), la rimozione di punti di sutura, ecc.
Nell’ambulatorio ortopedico, invece, possono risultare a rischio quelle manovre che si compendiano nell’assistenza al sanitario durante la visita dell’infortunato, che oltre ad aver riportato lesioni ossee fratturative, presenti anche ferite cutanee; oppure nei casi in cui vi sia necessità di eseguire iniezioni (per lo più i.m.) od ancora quando l’infermiere collabora con lo specialista ortopedico durante una artrocentesi per versamenti articolari.

Il lavaggio e la preparazione per la sterilizzazione dei vari strumenti chirurgici già usati, in particolare i taglienti, deve essere effettuata con estrema attenzione e cura poiché gli stessi sono sempre contaminati da materiali organici ed in primo luogo da sangue; per i taglienti in particolare c’è sempre il rischio di ferirsi anche indossando i guanti.

Vanno ricordate inoltre le pratiche di prelievo ematico effettuate per esami di laboratorio (esami ematochimici) o per esame emogasanalitico (attività queste svolte esclusivamente presso i centri polidiagnostici regionali).

Nelle altre attività specialistiche ambulatoriali (oculista, dermatologo, neurologo, ecc.) il rischio biologico per l’infermiere è notevolmente ridotto, essendo legato ad eventi accidentali.
 

Principali Patologie
Le principali patologie, inerenti al rischio biologico, a cui sono esposti gli infermieri, riguardano le infezioni a trasmissione ematica (epatite B, epatite Delta, epatite C, infezione da HIV).
La trasmissione di infezioni per via respiratoria (es. TBC) negli infermieri è trascurabile, e lo è ancora di più se riferita all’attività infermieristica negli ambulatori INAIL.

Infezioni per via parenterale
L’epatite B è dovuta ad un virus a DNA ad alta infettività; le vie di trasmissione più importanti sono quella parenterale o percutanea (attraverso tagli, punture, trasfusioni, emoderivati); quella sessuale (attraverso lesioni delle mucose genitali, lesioni della mucosa orale); quella materno-fetale e quella perinatale (al momento del parto).
I portatori asintomatici del virus svolgono un ruolo importante. Questo virus risulta stabile nel plasma o nel siero e può sopravvivere in diverse condizioni di temperatura ed umidità. Pertanto sono sufficienti minime tracce di sangue per rendere contagianti i vari liquidi biologici.
Il virus dell’epatite B è una particella sferica che risulta costituita da un nucleocapside interno, denominato core e da un involucro esterno che si replica all’interno degli epatociti. Le determinanti antigeniche di questa particella sono rappresentate nell’involucro dall’HbsAg che è un antigene di superficie e viene sintetizzato in notevoli quantità dagli epatociti in caso di epatite acuta; nel core ci sono l’HbcAg che è un antigene sintetizzato dagli epatociti per la replicazione del virus e risulta ad alta infettività; sempre nel core sono stati individuati l’HbeAg ed una DNA polimerasi anch’essi ad alta infettività. L’HbsAg è quindi una proteina dell’involucro del virus; l’HbcAg è una proteina nucleocapsidica; mentre l’HbeAg è una proteina non strutturale secreta dall’apparato del Golgi. Per quanto riguarda la diagnosi sierologica, essa viene fatta nei soggetti HbsAg positivi con positività per gli anticorpi anti- HBc IgM. Nel 75% dei casi nel siero è presente anche l’HbeAg.
L’antigene HbsAg compare molto presto in circolo (circa 30 gg. dopo l’esposizione al virus e circa 2-8 settimane dall’esordio clinico della malattia) esprime l’infezione in atto e persiste per circa 2-5 mesi in caso di guarigione; se persiste per più di sei mesi esprime la condizione di portatore cronico.
L’antigene HbeAg è presente nella fase di incubazione e all’inizio della malattia, è da considerare un “marker” della replicazione virale ed un importante indice di infettività. Anche la DNA polimerasi rappresenta un indice di proliferazione virale.
Da tenere presente anche il significato sierologico rappresentato dagli anticorpi dell’epatite B. L’anti HBs (HbsAb) indica una infezione pregressa ed una immunità acquisita; la sua massima concentrazione si ha nel periodo clinico e si riscontra anche dopo alcuni mesi.
L’anti HBc (HbcAb) è un anticorpo prodotto precocemente, ancora prima dell’HbsAg e dell’HbsAb ed esprime un’infezione recente, la sua lunga persistenza (per anni) dopo la guarigione rappresenta un indice prognostico favorevole poiché svolge un’attività neutralizzante sul virus completo eventualmente presente in circolo, impedendo una reinfezione degli epatociti.
L’anti Hbe (HbeAb) è un anticorpo che compare nella fase evolutiva verso la guarigione e rappresenta un indice di ridotta infettività.
Tra gli operatori sanitari la trasmissione del virus dell’epatite B avviene prevalentemente attraverso puntura con ago o strumento tagliente contaminato, oppure in seguito al contatto accidentale con sangue infetto per soluzioni di continuo della cute od ancora per contaminazione di membrane mucose.
È stato valutato che il rischio di contrarre l’epatite B per una singola esposizione accidentale sia compreso tra il 2 ed il 40%, tenuto conto dello stato HbeAg positivo o negativo del soggetto fonte di infezione.
In coloro che hanno contratto l’infezione, la quasi totalità guarisce completamente, una minima parte (5-10%) diviene portatore cronico del virus; in quest’ultima un quarto può sviluppare un’epatite cronica attiva che successivamente può evolvere in cirrosi epatica e carcinoma epatocellulare; una piccolissima percentuale, lo 0,5-1% di questi soggetti, va incontro ad epatite acuta fulminante che per lo più è a decorso mortale.

L’epatite delta è un’infezione determinata da un virus a RNA che tuttavia per produrre la malattia richiede l’associazione con il virus dell’epatite B, che in tal caso funziona come virus helper.
Questo tipo di epatite presenta un periodo di incubazione tra le due e le otto settimane quando si tratta di sovrainfezione di un soggetto che sia già stato infettato da virus dell’epatite B. Quando vi siano contemporaneamente le due infezioni (epatite B ed epatite D) il periodo di incubazione risulta simile a quello dell’epatite B (45-160 giorni). La sovrainfezione in un soggetto con epatite B fa aumentare il rischio di epatite fulminante; in un soggetto con epatite B in fase cronica aumenta il rischio di evoluzione in cirrosi.
Nell’epatite cronica l’agente delta si può ritenere un “marker” di epatite attiva, talora tendente all’evoluzione e non rispondente al trattamento con immunosoppressori; produce un anticorpo specifico: anti-delta-IgM.
Per l’operatore sanitario attualmente non dovrebbe sussistere il rischio di infezione Delta nella sua attività di lavoro, dal momento che dovrebbe essere vaccinato contro l’epatite B; con tale vaccinazione in effetti si ha la protezione sia contro l’epatite B che contro l’epatite B-Delta.

L’epatite C è determinata da un virus a RNA la cui trasmissione avviene principalmente per via parenterale, altre vie sono quella perinatale e sessuale, quest’ultime però meno efficienti.
In passato era molto frequente la trasmissione post-trasfusionale, oggi questo rischio si è notevolmente ridotto in seguito allo screening per la ricerca dell’anticorpo anti-HCV.
Per quanto riguarda il decorso clinico, quello dell’epatite C è alquanto variabile. Oltre la metà dei soggetti affetti da epatite acuta post-trasfusionale potrà contrarre una forma cronica e tra essi un quarto potrà andare incontro ad una cirrosi epatica. In taluni soggetti affetti da epatite cronica e cirrosi si può sviluppare un carcinoma epatocellulare.

Negli ultimi anni sono stati identificati, oltre a questi già conosciuti, altri virus epatotropi, tra i quali possiamo ricordare solo quelli a trasmissione parenterale, come ad esempio il virus G, che è un virus a RNA, capace di determinare infezioni sia acute sia croniche. L’identificazione avviene attraverso tecniche di ibridizzazione molecolare per l’RNA virale. I dati clinico-epidemiologici sono ancora in fase di valutazione e per la diagnosi (determinazione dell’HGV-RNA nel sangue) le metodiche (amplificazione genica) sono ancora riservate a taluni laboratori di ricerca, non potendosi ancora utilizzare attendibili metodi immunologici di screening.
Il virus HIV responsabile della sindrome dell’immunodeficienza acquisita è un virus a RNA, in genere poco resistente all’ambiente esterno. Tale virus è presente nelle secrezioni e nei liquidi corporei; infatti il sangue, il liquido seminale, le secrezioni vaginali sono fondamentali per la trasmissione di questo virus, ricordando tuttavia che teoricamente da tutti i liquidi contenenti linfociti infetti può derivare un potenziale contagio. Le più importanti vie di trasmissione sono pertanto quella parenterale o percutanea, quella sessuale, quella materno-fetale e quella perinatale.
Dopo un’esposizione di tipo percutaneo con sangue infetto, il rischio professionale si aggira intorno allo 0,3%; risulta maggiore quando vi siano o una lesione profonda dell’operatore o la contaminazione massiva a livello congiuntivale o sangue sul mezzo lesivo. Inoltre può aumentare allorchè lo strumento che ha provocato la lesione è stato posizionato in un’arteria o in una vena del soggetto infetto, oppure quando il paziente infetto sia deceduto per AIDS nei 60 giorni dall’esposizione.
 

Procedure di buona tecnica nell’attività infermieristica

Modalità per l’esecuzione dei prelievi
Per eseguire prelievi ematici la massima protezione si ottiene attraverso l’uso di dispositivi che permettono di effettuare tale operazione senza usare la siringa (prelievi sotto vuoto). Vanno messe in atto quelle norme di protezione individuale e di igiene generale quali l’uso di indumenti protettivi, il prelievo ed il confezionamento di campioni per esami di laboratorio, il lavaggio e la disinfezione delle mani e dello strumentario, nonché la disinfezione dei piani di lavoro.
Attività a rischio sono anche la raccolta del materiale contaminato, dello strumentario e della biancheria nonché la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti contaminati.
Per il lettino vanno usati teli a perdere, che vanno cambiati per ogni paziente.

Le modalità di prelievo debbono sottostare ai seguenti criteri:
• il prelievo deve essere eseguito da personale preparato e con esperienza;
• nel corso del prelievo debbono essere usati guanti e camice protettivi;
• dopo il prelievo, prima di immettere il sangue nella provetta, deve essere tolto l’ago dalla siringa e riposto nell’idoneo contenitore rigido;
• deve essere controllato che il contenitore del campione di sangue non sia contaminato esternamente, in caso positivo è necessaria la disinfezione con ipoclorito di sodio al 5%;
• il trasporto in laboratorio deve essere eseguito tramite l’utilizzo di un appropriato contenitore;
• il modulo di richiesta di esame dovrebbe essere inviato a parte rispetto al campione al fine di evitare una possibile contaminazione.

In caso di prelievo con siringa ed ago, una volta effettuata l’operazione, l’ago deve essere rimosso attraverso il dispositivo del contenitore per aghi e taglienti, poi vanno riempite le provette.
Quando viene usato un vacutainer l’ago viene svitato attraverso il dispositivo del contenitore per aghi e taglienti, per cui l’ago andrà a cadere da solo nel contenitore.
Nei prelievi effettuati con siringa ed ago a farfalla, una volta eseguita l’operazione di prelievo l’ago deve essere rimosso ed eliminato nel contenitore per aghi e taglienti.

Infine per quanto riguarda il prelievo per emogasanalisi, una volta effettuata l’operazione l’ago deve essere rimosso attraverso il dispositivo del contenitore per aghi e taglienti, inserendo poi un tappo sul beccuccio della siringa.

Gli operatori sanitari che effettuano ed assistono all’esecuzione di manovre cosiddette invasive - intendendo con tale termine tutte quelle manovre rivolte a raggiungere tessuti, cavità ed organi oltrepassando le usuali barriere di difesa del corpo, cioè cute e mucose, con rischio di contatto con sangue ed altri liquidi biologici - debbono adottare le “precauzioni universali” che verranno successivamente descritte.

Nel caso di esposizione accidentale professionale a sangue o altro materiale biologico l’operatore coinvolto dovrà comunque seguire determinate procedure.
Le prime misure da adottare consistono nei seguenti atti:
• far aumentare il sanguinamento se trattasi di ferita, nel caso applicare anche un laccio emostatico a monte della stessa;
• eseguire abbondante detersione con acqua e sapone;
• disinfettare bene la ferita;
• se vi sia stato contatto con il cavo orale occorre risciacquare con acqua corrente;
• se c’è stato contatto con le congiuntive occorre risciacquare con acqua corrente a lungo (per almeno 10 minuti);
• l’operatore esposto va inviato al Pronto Soccorso per gli altri interventi del caso.

L’operatore esposto entro 1-3 ore dall’evento (tempo zero) deve recarsi presso il DEA dell’Ospedale più vicino e in tale struttura saranno eseguiti:
• la prima medicazione;
• compilazione del consenso informato dell’operatore ai prelievi;
• le misure di profilassi post-esposizione: eventuale profilassi passiva con immunoglobuline e/o attiva con vaccino secondo il vigente protocollo;
• esecuzione dei prelievi urgenti come previsto dal protocollo;
• invio dei prelievi in laboratorio;
• eventuali prelievi al paziente fonte dopo il consenso informato ed un controllo, ove possibile, della situazione immunitaria anche attraverso la consultazione della documentazione sanitaria in suo possesso;
• counseling circa la prevenzione post-esposizione ad HIV (e ad epatiti);
• somministrazione di farmaci previsti dal protocollo di prevenzione postesposizione ad HIV (e ad epatiti);
• eventuale richiesta di consulenza infettivologica;
• attivazione dei flussi di informazione con il laboratorio di analisi, il reparto infettivi, l’ufficio del medico competente, l’ufficio del personale;
• compilazione del modulo per la denuncia infortunio all’INAIL;
• compilazione del modulo delle prestazioni DEA;
• dichiarazione dell’operatore sanitario con descrizione dell’evento accidentale;
• compilazione della scheda inerente le prestazioni sanitarie fornite;
• l’operatore sanitario sarà invitato a recarsi appena possibile nell’ambulatorio del medico competente per espletare le ulteriori procedure previste;
• contemporaneamente il responsabile medico della sede INAIL ove è avvenuta l’esposizione predisporrà una relazione dell’evento.

Norme di prevenzione
Nell’ambito sanitario la prevenzione di tali patologie deve essere perseguita in modo efficace e continuo, proprio per le notevoli conseguenze che queste patologie possono avere tra il personale sanitario ed in particolare tra il personale infermieristico, tenuto conto del fatto che sono proprio gli infermieri, la categoria sanitaria ad essere più frequentemente coinvolta da queste patologie occupazionali.

In caso di contatto accidentale con sangue, secreti, escreti, fluidi corporei ed oggetti contaminati, nonostante l’impiego di guanti, le mani vanno lavate immediatamente ed in modo accurato. Le norme di buona tecnica ed igiene prevedono che le mani debbono essere lavate sia prima che dopo l’uso dei guanti e comunque in tutti i casi nei quali vi siano contatti con il paziente, al fine di prevenire il passaggio di microrganismi ad altri pazienti, ad altri operatori sanitari oppure allo stesso ambiente.
L’utilizzo dei guanti è necessario prima di venire a contatto con sangue, secreti, escreti, fluidi corporei, mucose, cute lesa dei pazienti ed oggetti contaminati.

L’infermiere deve sempre usare i guanti quando sono presenti tagli o soluzioni di continuo della cute ed inoltre in tutti quei casi in cui deve effettuare prelievi o attività a rischio (es. medicazioni).
 

Criteri generali di prevenzione generale e specifica
Per quanto riguarda le infezioni trasmesse per via parenterale (epatite B, epatite delta e C, AIDS) i criteri di prevenzione generali sono identici per i quattro tipi di infezione e possono essere così riassunti: in primo luogo un’adeguata educazione sanitaria con programmi di informazione e formazione per tutti gli operatori sanitari che si trovino in condizioni di rischio.

L’impiego di idonei dispositivi di protezione individuali come guanti, mascherine con visiera o schermo facciale, camici.
Le manovre di incappucciamento degli aghi non vanno più eseguite. Dopo l’uso va effettuata la puntuale raccolta, di siringhe, aghi e vari taglienti, che introdotti in appositi contenitori, sicuri e a prova di puntura, possono poi essere convogliati allo smaltimento; per quest’ultima materia esiste una specifica normativa di cui si parlerà in apposito capitolo.
I criteri di prevenzione specifica a seconda del tipo di infezione sono i seguenti, per l’epatite B si può attuare:
1) l’immunizzazione passiva con preparati di IgG umane ad alto contenuto di HbsAb;
2) la vaccinazione che conferisce un ampio margine di protezione (95% per i soggetti non immuni) e viene effettuata in 3 dosi (al mese 0, al 1° ed al 6°) per iniezione intramuscolare al deltoide con l’unica controindicazione al vaccino in caso di processo febbrile acuto al momento della vaccinazione.
Nei casi di infortunio sul lavoro la vaccinazione consigliata, in quanto si è dimostrata dotata di maggiore immunogenicità, comprende 4 dosi (al mese 0, al 1°, al 2° e al 12°). La prima dose va somministrata entro le 96 ore dall’infortunio; per gli operatori sanitari non immuni le IgG specifiche devono essere somministrate entro le 48 ore dalla esposizione. Contro l’epatite B andrebbero vaccinati tutti gli operatori sanitari e gli stessi istruiti nell’adottare le precauzioni universali di protezione nei confronti del sangue e di tutti gli altri liquidi biologici. Infatti sia il sangue sia gli altri materiali biologici (tanto dei pazienti che degli operatori) vanno sempre considerati potenzialmente infetti indipendentemente dalla conoscenza della loro infettività.
In seguito a esposizione parenterale, il rischio di contrarre questo tipo di epatite risulta pari al 4-40%.

Per quanto riguarda l’epatite delta, un operatore sanitario portatore di HbsAg può andare incontro ad una sovrainfezione assistendo un paziente HDV positivo (vengono colpiti specialmente dalla doppia infezione i tossicodipendenti e gli omosessuali). In quei casi in cui l’operatore sanitario (l’infermiere) portatore di HbsAg si trovi a prestare la propria opera ad un paziente HbsAg positivo, questo si dovrà sottoporre alla ricerca dei marker Delta; se tali marker risulteranno positivi l’infermiere portatore dovrà essere sostituito per l’assistenza a quel tipo di paziente con un altro infermiere immunizzato per il virus dell’epatite B e conseguentemente anche per il Delta.
Comunque è buona regola considerare sempre un soggetto HbsAg positivo anche probabile portatore del virus Delta.

Per l’epatite C attualmente non è disponibile alcun vaccino né alcuna misura profilattica post-esposizione; al momento non trova più indicazione il trattamento con le immunoglobuline aspecifiche.l rischio professionale di infezione in seguito ad esposizione per via parenterale, risulta molto inferiore rispetto a quello dell’epatite B.

Per quanta riguarda anche l’infezione da HIV attualmente non si dispone ancora di un vaccino, sono tuttavia in fase di sperimentazione alcuni di essi.
In seguito ad esposizione professionale accompagnata ad un più elevato rischio di trasmissione dell’infezione viene raccomandata la profilassi post-esposizione attuata tramite somministrazione di un cocktail di farmaci antiretrovirali da iniziare subito, entro le prime 4 ore dall’esposizione e comunque non oltre le 24 ore, tale profilassi va continuata per almeno 4 settimane.

 
 

RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI da inail

LA PROFESSIONE SANITARIA DI INFERMIERE

L’ATTIVITÀ DELL’INFERMIERE: AUTONOMIA E RESPONSABILITÀ

LA PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO

GLI AMBIENTI DI LAVORO: GLI AMBULATORI “PRIME CURE” DELL’INAIL

RISCHIO BIOLOGICO: CONOSCENZA, VALUTAZIONE E PREVENZIONE.

LA NORMATIVA PER LA PREVENZIONE DEL RISCHIO BIOLOGICO

SORVEGLIANZA SANITARIA E GIUDIZIO DI IDONEITÀ

Decreto 14 settembre 1994, n. 739 - Gazzetta Ufficiale 9 gennaio 1995, n. 6 Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere

Legge 26 febbraio 1999, n. 42. Gazzetta Ufficiale 2 marzo 1999, n. 50 “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”

CODICE DEONTOLOGICO Testo approvato dal Comitato centrale Febbraio 1999

Legge 11 marzo 1988, n. 67 (G.U. n. 61 del 14 marzo 1988). Oggetto: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. (Legge finanziaria 1988).

Convenzione tra regione ed inail

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 novembre 2001, n. 465 Regolamento che stabilisce le condizioni nelle quali è obbligatoria la vaccinazione antitubercolare, a norma dell’articolo 93, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. (Gazzetta Ufficiale n. 7 del 9/1/2002)

 

 

http://www.inail.it/pubblicazionieriviste/tuttititoli/medicina/vademecum_infermiere/indice.htm