Corte di Cassazione, Sezione Lavoro - Sentenza 6 marzo 2006 n. 4774
Svolgimento del processo
(...), dipendente della Spa Cassamarca, ha convenuto in giudizio la società
datrice di lavoro chiedendo il risarcimento dei danni derivati - con
l'instaurarsi di una malattia invalidante - da un serie di comportamenti
persecutori, ricondotti ad un'ipotesi di mobbing, posti in atto dalla società
fin dal 1992, consistiti in provvedimenti di trasferimento, ripetute visite
mediche fiscali, attribuzione di note di qualifica di insufficiente, irrogazione
di sanzioni disciplinari, privazione della abilitazione necessaria per operare
al terminale ed altri episodi.
Il Giudice adito rigettava la domanda, con decisione che, su impugnazione
dell'attore soccombente, ricostituitosi il contraddittorio con la Spa Unicredito
(incorporante la Spa Cassamarca), la Corte di Appello di Venezia confermava con
la sentenza oggi impugnata. Il Giudice dell'appello, esaminando i vari episodi
della vicenda dedotta in giudizio, escludeva la confìgurabilità nel caso di
specie di una condotta aziendale protratta nel tempo caratterizzata da intenti
persecutori e finalizzata all'emarginazione del lavoratore.
Avverso questa sentenza il (...) propone ricorso per Cassazione affidato a tre
motivi, al quale la Spa Unicredito resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. I tre motivi, che contengono tutti la denuncia di vizi della
motivazione, sotto vari profili, della sentenza impugnata, possono essere
esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.
Un primo aspetto riguarda la dedotta omessa valutazione complessiva degli
episodi posti a fondamento della pretesa azionata, che dovevano essere
considerati nell'ambito del fenomeno del mobbing (anche se corrispondenti
singolarmente e astrattamente a comportamenti leciti del datore di lavoro) in
quanto diretti a cagionare nel dipendente turbamenti psicologici e disturbi di
salute.
1.1. Secondo l'assunto della parte, le azioni vessatorie si sono
concretate in particolare
1.1.1. in un provvedimento di trasferimento dall'unità produttiva (che
risale al 1992, e di cui è stata accertata con sentenza definitiva
l’illegittimità);
1.1.2. in errori ed abusi dell'amministrazione aziendale, identificati in
una serie di cinque visite di accertamento della idoneità fisica nell'arco di
dieci mesi (nel periodo tra il 1993 e il 1994);
1.1.3. nella privazione dell'abilitazione all'uso del terminale sul posto
di lavoro;
1.1.4. nella irrogazione di una sanzione disciplinare nel novembre del
1994;
1.1.5. nell'attribuzione della nota di qualifica di "insufficiente".
1.2. Si imputa poi alla Corte territoriale di non aver riconosciuto il
valore dei singoli episodi e la loro appartenenza ad un medesimo progetto mirato
all’allontanamento e isolamento del (...).
1.2.1. Quanto al trasferimento del 1992, si osserva che nella relativa
controversia promossa dal lavoratore la sentenza di appello aveva ritenuto
fondata la censura relativa all’insussistenza di ragioni giustificatrici del
provvedimento, e che la Corte di Cassazione adita dal datore di lavoro aveva
confermato l'illegittimità del trasferimento a causa della mancata comunicazione
scritta dei motivi.
1.2.2. Con riguardo alle visite fiscali, il Giudice dell'appello ha
confuso quelle effettuate per il controllo delle assenze con quelle disposte per
l'accertamento dell'idoneità fisica; queste ultime risultavano chiaramente
ispirate da un intento persecutorio e non potevano trovare giustificazione nelle
assenze per la medesima malattia, anche perché le visite avevano sempre avuto
risultati positivi; e le stesse considerazioni valevano per il controllo delle
assenze, disposto ripetutamente per la stessa malattia già accertata.
1.2.3. In ordine alle limitazioni dell'attività lavorativa, disposte dopo
il rientro in servizio nel 1997, con la sottrazione delle abilitazioni
all'accesso dei terminali, le circostanze dedotte dall'attore in primo grado
erano state confermate dai testi escussi.
1.2.4. La sanzione disciplinare del 1994, di cui è stata riconosciuta
l'illegittimità, è stata poi considerata dalla sentenza impugnata come un
"episodio isolato", senza una valutazione complessiva della vicenda, con
l'affermazione contraddittoria ed incomprensibile secondo cui "l'illegittimità
di un comportamento datoriale non integra un atto di mobbing ".
1.3. Sotto un ultimo profilo si denuncia l'omesso esame di "molti altri
episodi riportati nell'atto d'appello", di cui viene riproposto un elenco.
2.1. Le censure non meritano accoglimento. In primo luogo si osserva che
la Corte territoriale ha esaminato le doglianze dell'appellante seguendo la sua
prospettazione di una fattispecie di danno derivante da una condotta del datore
di lavoro protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione,
finalizzata all'emarginazione del lavoratore. In questa ottica, ha condiviso
l'affermazione dell'esigenza di una valutazione complessiva degli episodi
dedotti in giudizio, che non risulta contraddetta dal risultato dell'indagine,
fondata sull'analisi dei singoli comportamenti del datore di lavoro di cui si
deduce il carattere lesivo.
Le circostanze esaminate acquistano rilevanza ai fini dell'accertamento di una
condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue
caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e la personalità
morale del prestatore di lavoro, garantite dall'articolo 2087 C.c.; tale
illecito, che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto da
questa norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con
comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente
dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina
del rapporto di lavoro subordinato.
La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose
deve essere verificata considerando l'idoneità offensiva della condotta del
datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata
dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e
discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e
pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela
del lavoratore subordinato.
3.0. Tali criteri sono stati seguiti dalla sentenza impugnata, che ha
escluso, con congrua motivazione, la configurabilità di un disegno persecutorio
realizzato mediante i vari comportamenti indicati dal (...).
3.1. Con riguardo al provvedimento di cui al punto 1.1.1., risulta dalle
allegazioni della parte che nel precedente giudizio tra le parti fu
definitivamente accertata l'illegittimità del trasferimento per la mancata
comunicazione dei motivi che giustificavano lo spostamento dal luogo di lavoro.
Nulla è stato dedotto dal ricorrente in ordine agli elementi probatori acquisiti
in quel procedimento, e riproposti a sostegno della domanda azionata nel
presente giudizio, che avrebbero potuto dimostrare il carattere persecutorio -
nei termini sopra indicati - dell'azione del datore di lavoro.
3.2. Quanto alle visite mediche eseguite su richiesta dell'azienda, non
viene chiarita in fatto la rilevanza, ai fini dell'indagine, della mancata
distinzione tra i controlli della idoneità fisica e i controlli delle assenze.
In proposito il Giudice di merito ha ritenuto giustificabili questi interventi
in considerazione del loro compimento durante una prolungata assenza per
malattia (per oltre duecento giorni): tale apprezzamento di fatto non viene
criticato con l'indicazione di precise circostanze non esaminate, idonee a
dimostrare -anche sotto questo profilo- il carattere vessatorio dell'iniziativa
del datore di lavoro.
3.3. Analoghi rilievi valgono per la vicenda della mancata abilitazione
all'accesso ai terminali, che la Corte territoriale -condividendo la valutazione
espressa dal primo Giudice, non censurata con specifici motivi di gravame- ha
ricondotto a problemi di continuità di inserimento del dipendente nell'attività
di aggiornamento dei dati. Anche su questo punto non vengono precisati difetti
di indagine.
3.4. Quanto alla sanzione disciplinare del 1994 (annullata dal Collegio
di conciliazione e arbitrato) la valutazione espressa dalla Corte territoriale
sfugge alle critiche mosse, non potendosi ravvisare alcuna contraddizione tra il
riconoscimento della illegittimità del provvedimento e la negazione della
possibilità di iscrivere tale episodio in un disegno persecutorio, sulla base di
un apprezzamento delle concrete circostanze di fatto.
3.5. La censura di cui al punto 1.3. appare inammissibile. II Giudice
dell'appello ha osservato che con riferimento a diversi episodi considerati
nella decisione di primo grado non erano stati proposti specifici motivi
d'impugnazione : questo giudizio sulla preclusione di un riesame delle relative
circostanze non viene censurato dalla parte, né è dato verificare se i fatti
descritti nel ricorso, per i quali si lamenta oggi un difetto di indagine (una
sanzione disciplinare dell'anno 2000, la richiesta di un caposervizio di un
controllo delle attività del (...), la "costrizione nel 1999 a prendere un
periodo di ferie", la "necessità di ricorrere ad un permesso per recarsi a
testimoniare") coincidano con quelli di cui si è ritenuto precluso il riesame.
In violazione del principio di autosufficienza del ricorso, l'attuale ricorrente
si è del resto limitato ad elencare sommariamente i vari episodi, senza indicare
gli specifici elementi di fatto rilevanti per l'indagine richiesta al Giudice di
appello, così da consentire a questa Corte il controllo della decisività delle
risultanze non valutate.
II ricorso deve essere quindi respinto con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio liquidate in € 24,00 oltre € 5.000 per onorari ed oltre spese generali
ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 19 dicembre
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2006.