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Da "Diritto & Pratica del Lavoro" ed. Ipsoa n° 32/98 - Rassegna della Cassazione Penale.

A cura di Raffaele Guariniello

 IL DATORE DI LAVORO NEL COMUNE E
IL D.LGS. N. 62611994

Cassazione sezione terza penale - Sentenza n. 5889 dei 19 maggio 1998 - Pres. Tridico Est. Salvago -P.M. (Diff.) - Ric. Sodano

Sicurezza del lavoro - Destinatari delle norme Comune -Individuazione automatica del datore di lavoro nel sindaco - Esclusione

In caso di violazioni alle norme sull'igiene del lavoro rilevate in attività esercitate dal comune, alla stregua del combinato disposto degli artt. 2, D.Lgs. n. 62611994 e 1, D.Lgs. n. 2911993, nei comuni, "datore di lavoro" deve essere considerato non già sempre e comunque il sindaco, ma il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale.

Testo della sentenza (stralcio)

Questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare in tema di personalità della responsabilità penale - in riferimento all'art. 27 della Costituzione ed all'art. 40 cod. pen. (rapporto di causalità) - che l'amministratore o il legale rappresentante di un ente (così come quello di una società o di un'azienda) non può essere automaticamente tenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell'ente; e che in caso di impossibilità di adempiere direttamente agli obblighi derivanti dalla legge, egli può delegarvi una persona tecnicamente qualificata mediante atto formale in cui risultino documentati in modo incontrovertibile il soggetto, i presupposti ed i contenuti della delega (IV, 11 dicembre 1986, Aquilani; 14 aprile 1989, Civello; III, 31 agosto 1993, Robba).

A maggior ragione, dunque, la sua responsabilità deve essere esclusa allorché trattasi di ente pubblico, la cui articolazione in varie branche renda, perciò, solo impossibile ad una sola persona, il controllo dell'attività funzionale: in tal caso richiedendosi che quest'ultima sia stata preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti per legge, per pubblici concorsi o per altri titoli soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari inerenti a quel servizio. Ciò perché in tali fattispecie, cui non ha prestato attenzione il Pretore, a differenza della prima, l'esigenza della delega è superata ed assorbita dalla predeterminata suddivisione dei servizi, delle attribuzioni e dei compiti; e, per altro verso resa superflua dall'investimento della funzione tipica nonché dal suo concreto esercizio secondo la disciplina prestabilita dalle norme legislative e regolamentari sulla ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze dell'ente (sent. 22 marzo 1991 n. 3272; 6204 del l' luglio 1983; 296 del 14 gennaio 1983).

Questi principi trovano naturale applicazione nell'ambito dei Comuni di medie dimensioni, come Agrigento, per i quali già l'art. 84 R.D. 297 del 1911, stabiliva che quando l'ufficio comunale è suddiviso in ripartizioni, uffici e divisioni, spetta ai capi di essi l'adempimento dei compiti demandatigli; e comportano la conseguenza che per individuare nel loro ambito i soggetti responsabili delle infrazioni alle norme che disciplinano i diversi settori della loro complessa attività pubblicistica, occorre per un verso far riferimento alla ripartizione interna ed istituzionale delle specifiche competenze, e distinguere, per altro verso, tra carenze strutturali, sicuramente addebitabili ai vertici dell'ente, e deficienze derivanti dall'ordinario buon funzionamento dei diversi rami delle attività, di cui rispondono, invece, proprio i soggetti istituzionalmente preposti (o espressamente delegati) a ciascuno di essi (Sez. un. sent. n. 9874 del 4 ottobre 1992; Sez. III, sent. n. 5407 del 30 maggio 1996).

D'altra parte, questa generale distinzione non può ritenersi superata nella materia dell'igiene del lavoro dall'art. 4 del menzionato D.P.R. che pone l'obbligo di attuare le misure di igiene in esso stabilite a carico dei "datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività ... ", anzitutto perché il suddetto obbligo, proprio per non trasformarsi in un'ipotesi di responsabilità obbiettiva, è loro devoluto "nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze", e perciò correlato anche in questo settore con la normativa concernente l'organizzazione e la distribuzione delle competenze all'interno della struttura pubblica. E, quindi, perché, come evidenziato dallo stesso Pretore, siffatto collegamento è divenuto ancor più palese ed inequivoco in base al combinato disposto degli artt. 2 D.Lgs. n. 626 del 1994 ed 1 D.Lgs. n. 29 del 1993, per cui nei Comuni "datore di lavoro" deve essere considerato non già sempre e comunque il sindaco, ma "il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale ... ".

Per cui nel caso non poteva dubitarsi che i suddetti principi dovessero trovare applicazione anche nell'ambito del Comune di Agrigento, posto che proprio la sentenza impugnata ha accertato, da un lato, che il suo organigramma interno prevede ed ha in concreto attuato, un sistema organizzato in nove ripartizioni, ognuna suddivisa in più servizi e diretta da un capo ripartizione, fra le quali assume rilievo per i fatti in esame, la ripartizione VIII in quanto al suo interno è previsto il servizio 7°, avente lo specifico compito di provvedere alla manutenzione degli edifici di competenza comunale. E, dall'altro, che a ciascuna ripartizione è collegato (e preposto) un assessore di riferimento cui è stata regolarmente delegata l'intera materia rientrante nella sua specifica competenza con l'automatico trasferimento dell'esercizio di tutti i poteri-doveri in essa rientranti: e senza, quindi, necessità di ulteriori e più specifiche deleghe, erroneamente richieste dal Pretore per ciascuna delle incombenze imposte dalle diverse disposizioni legislative.

D'altra parte, neppure è possibile configurare la responsabilità del sindaco in contrasto con la menzionata normativa, per il fatto evidenziato dalla sentenza impugnata che nel caso di specie non si trattava di semplice manutenzione ordinaria, bensì di opere di consolidamento e di rifacimento parziale di muri, soffitti e pavimenti, perché in quest'ultimo caso vale anche per il ricorrente il rilievo della sentenza impugnata (peraltro confermato nella Regione siciliana dagli artt. 51, 63 e 64 del D.L.P. Reg. n. 6 del 1955), che la relativa spesa doveva essere necessariamente deliberata dalla Giunta municipale (nonché dal Consiglio comunale nell'ambito delle rispettive competenze). Laddove se si resta aderenti agli addebiti indicati nei capi di imputazione concernenti l'obbligo, rimasto per anni inadempiuto, di ordinaria manutenzione dei locali di lavoro e dei servizi igienici (inefficienze varie, mancanza di pulizia, rottura di vetri ed altro), non può sfuggirsi alla conseguenza di individuare le relative responsabilità con riferimento ai titolari delle ripartizioni e dei servizi cui dalla normativa vigente è attribuita piena autonomia tecnica e funzionale in merito alla loro gestione (seni. n. 8928 del 21 giugno 1990; 8045 del 18 settembre 1985).

 

Vero è che il sindaco, in base al disposto dell'art. 142 R.D. n. 148 del 1915, recepito dall'art. 68 del menzionato D.L. P. Reg. Sic. n. 6/1955, è il capo dell'amministrazione comunale ed in tale veste ha il dovere (art. 68 lett. b) di sovrintendere agli uffici ed alle istituzioni comunali, e di vigilare, dunque, a che gli amministratori ed i funzionari sottoposti adempiano ai compiti ed agli specifici obblighi istituzionali loro demandati; per cui se egli non può esser tenuto a controllare personalmente che in ogni edificio comunale venga giornalmente effettuata la necessaria manutenzione, allorché sia informato delle inadempienze dei preposti alla ripartizione ed al servizio, proprio per la funzione apicale ricoperta nell'ambito dell'amministrazione comunale, ha l'obbligo di intervenire anche con provvedimenti disciplinari; e perfino con il ritiro della delega ove le relative responsabilità siano imputabili anche all'assessore di riferimento.

Ed è egualmente accertato in punto di fatto che il ricorrente, pur edotto da funzionari ed altri dipendenti delle gravi e precarie condizioni igienico-sanitarie dei locali della polizia urbana, ha omesso di intervenire; così come è rimasto totalmente inerte dopo le numerose relazioni inviategli dagli ispettori della Ausl e perfino dopo gli incontri con le organizzazioni sindacali che più volte lo hanno sollecitato a porre rimedio alla grave situazione di degrado lamentata.

Ma sotto tale profilo poteva essere ipotizzata soltanto una responsabilità del sindaco a titolo di concorso con quella dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti e degli assessori di riferimento, cui erano addebitabili le singole violazioni; della quale, dunque, dovevano essere esattamente specificati i termini in punto di fatto nei capi di imputazione. Laddove nel caso soltanto con il provvedimento impugnato, il Pretore ha disposto la restituzione degli atti al P.M. procedente per l'accertamento delle relative responsabilità, allo stato, dunque, neppure individuate; sicché non essendo state a maggior ragione prospettate possibili ipotesi di cooperazione ad esse da parte del comportamento del Sodano, la sentenza va annullata senza rinvio perché quest'ultimo non ha commesso il fatto addebitatogli.

Nota

Continua la difficile riflessione della Corte Suprema sui soggetti responsabili per violazioni antinfortunistiche nell'ambito del comune. (Per un quadro della giurisprudenza in argomento v. Guariniello, Sicurezza del lavoro e Corte di Cassazione, Milano, 1994, 184 s., cui adde, da ultimo, Cass. 24 febbraio 1998, Giannattasio, in ISL, 1998, 5, 271; Cass. 12 febbraio 1998, Mazza, ibid., 1998, 4, 192; Cass. Il febbraio 1998, Serricchio, ibid., 1998, 4, 19 1; Cass. 11 febbraio 1998, Carrozzino, ibid., 1998, 4, 19 l; Cass. 6 ottobre 1997, Chiappa, ibid., 1997, 12, 675).

La sentenza che qui presentiamo fa spicco, in quanto tenta di identificare il datore di lavoro nei comuni anche alla luce delle indicazioni fornite dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626.

Nella fattispecie, concernente più contravvenzioni al D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 rilevate nei locali del comando di polizia urbana e addebitate dal Pretore in primo grado al sindaco, la Sez. 111 annulla la sentenza pretorile, per non avere l'imputato commesso il fatto. Premette che l'amministratore o il legale rappresentante di un ente (così come quello di una società o di un'azienda) non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell'ente", e che, "in caso di impossibilità di adempiere direttamente agli obblighi derivanti dalla legge, egli può delegarvi una persona tecnicamente qualificata mediante atto formale in cui risultino documentati in modo incontrovertibile il soggetto, i presupposti ed i contenuti della delega". Osserva che, "a maggior ragione, la sua responsabilità deve essere esclusa allorché trattasi di ente pubblico": "in tal caso richiedendosi che l'attività funzionale sia stata preventivamente suddivisa in distinti settori, rami o servizi e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti per legge, per pubblici concorsi o per altri titoli soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari inerenti a quel servizio". Aggiunge che "occorre distinguere tra carenze strutturali, sicuramente addebitabili ai vertici dell'ente, e deficienze derivanti dall'ordinario buon funzionamento dei diversi rami dell'attività, di cui rispondono invece i soggetti istituzionalmente preposti (o espressamente delegati) a ciascuno di essi". Sottolinea che "questa generale distinzione non può ritenersi superata nella materia dell'igiene del lavoro dall'art. 4 D. P. R. n. 303/1956 che pone l'obbligo di attuare le misure di igiene in esso stabilite a carico dei "datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti che esercitano, dirigono o sovraintendono alle attività", anzitutto perché il suddetto obbligo, proprio per non trasformarsi in un'ipotesi di responsabilità obbiettiva, è loro devoluto nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze", e perciò correlato con la normativa concernente l'organizzazione e la distribuzione delle competenze all'interno della struttura pubblica, e, quindi, perché siffatto collegamento è divenuto ancor più palese ed inequivoco in base al combinato disposto degli artt. 2, D.Lgs. n. 626/1994 e 1 D.Lgs. n. 29/1993, per cui nei Comuni "datore di lavoro" deve essere considerato non già sempre e comunque il sindaco, ma "il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale"". Ammette poi che "il sindaco, in base al disposto dell'art. 142 R.D. n. 148/1915, è il capo dell'amministrazione comunale ed in tale veste ha il dovere di sovrintendere agli uffici ed alle istituzioni comunali, e di vigilare dunque a che gli amministratori ed i funzionari sottoposti adempiano ai compiti ed agli specifici obblighi istituzionali loro demandati; per cui se egli non può essere tenuto a controllare personalmente che in ogni edificio comunale venga giornalmente effettuata la necessaria manutenzione, allorché sia informato delle inadempienze dei preposti alla ripartizione ed al servizio, ha l'obbligo di intervenire anche con provvedimenti disciplinari, e perfino con il ritiro della delega ove le relative responsabilità siano imputabili anche all'assessore di riferimento".